La battaglia legale di Sara
AGOGNATE – Tra il 2021 e il 2022, Sara, una trentenne operaia di Rovigo, ha lavorato presso il centro Amazon di Agognate, a Novara. Per intraprendere questa esperienza, ha dovuto lasciare la sua casa, gli amici e i legami affettivi, trasferendosi temporaneamente nella zona.
Al termine del contratto, ha presentato una richiesta di rimborso spese pari a 927 euro, coprendo trasferte, abbigliamento e beni di prima necessità. Tuttavia, cinque mesi dopo, l’azienda ha contestato 265 euro, considerandoli “indebiti” in quanto non ritenuti collegati alla prestazione lavorativa, e ha proceduto al suo licenziamento.
Il verdetto della Cassazione
Ritenendo di aver seguito le linee guida aziendali, Sara si è sentita «ingiustamente accusata» e ha deciso di intraprendere un’azione legale attraverso i suoi avvocati di Modena, Giorgio Borelli e Nicolò Ferrarini. In prima istanza, il Tribunale di Rovigo le ha riconosciuto sei mensilità e il TFR. Tuttavia, la Corte d’Appello ha accolto il ricorso di Amazon, portando la questione in Cassazione.
La Corte Suprema ha ribaltato la sentenza precedente, affermando che la buona fede della lavoratrice era manifesta e che le contestazioni dell’azienda non giustificavano il licenziamento. Dopo tre anni di battaglia legale, per Sara la sentenza rappresenta «un riscatto importante». L’avvocato Ferrarini ha sottolineato che si tratta di un principio fondamentale per la tutela dei lavoratori, applicabile anche ad altre situazioni simili all’interno di Amazon.
Ora, il caso ritornerà in Corte d’Appello, che dovrà determinare l’entità del risarcimento e decidere sull’eventuale reintegro in azienda, richiesta dalla difesa ma non ancora deliberata.
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